È un classico.
Dopo aver scattato una bella foto di gruppo, tutti sorridenti, la controlli e scopri che almeno una persona ha gli occhi chiusi.
Sembra quasi una legge universale della fotografia.
Ma dietro questo piccolo “mistero” c’è una spiegazione precisa, fatta di fisiologia, tempi di scatto e illuminazione.
Il nostro corpo è programmato per proteggere gli occhi dalla luce intensa.
Quando una fonte luminosa improvvisa — come il flash — colpisce la retina, il cervello reagisce chiudendo automaticamente le palpebre.
Questo riflesso palpebrale avviene in circa 100-150 millisecondi, cioè un decimo di secondo.
Se il flash si attiva proprio in quel momento, l’occhio si chiude esattamente mentre la fotocamera scatta.
È un fenomeno completamente naturale e involontario, più frequente nelle persone sensibili alla luce o affaticate.
Molte fotocamere e smartphone emettono un pre-lampo di luce per misurare l’esposizione e la distanza prima del vero scatto.
Questo lampo preliminare serve al sistema di messa a fuoco, ma può trarre in inganno i soggetti.
Chiudendo gli occhi per reazione al pre-flash, finiscono con le palpebre abbassate nel momento dello scatto principale.
Per questo, nelle foto di gruppo, c’è quasi sempre qualcuno “colto sul fatto”.
In media, una persona sbatte le palpebre 10-20 volte al minuto, cioè una volta ogni 3-6 secondi.
Se il fotografo scatta più foto di fila, è quasi inevitabile che in uno o più scatti qualcuno venga immortalato proprio nel momento in cui chiude gli occhi.
Con molte persone inquadrate, la probabilità aumenta esponenzialmente: in un gruppo da 10 individui, c’è quasi il 40% di possibilità che almeno uno abbia gli occhi chiusi.
Per ridurre il rischio, basta adottare alcuni accorgimenti:
Oggi molti smartphone integrano un sistema di riconoscimento facciale che seleziona automaticamente l’immagine migliore tra più scatti, scegliendo quella in cui tutti hanno gli occhi aperti.
Alcuni software di editing permettono perfino di combinare più foto, sostituendo i volti o gli occhi chiusi con quelli aperti da un’altra immagine della stessa sequenza.
Una soluzione tecnologica a un problema antico quanto la fotografia stessa.